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Piuma di piombo. Il teatro di Danio Manfredini

«l’Unità», venerdì 28 maggio 2004

Danio Manfredini, una Piuma di Piombo nel Teatro italiano

di Maria Grazia Gregori

Sui palcoscenici italiani vola, con i piedi ben piantati per terra però, un angelo. Un angelo transessuale su altissimi tacchi a spillo e piccole ali rosse, Samira, alla continua, disperata ricerca dell’amore, che non troverà mai. A interpretarlo è Danio Manfredini, un attore appartato e segreto, di eccezionale bravura. Lo spettacolo si intitola Cinema Cielo e prende il nome da un locale ormai scomparso a Milano dove si proiettavano film a luci rosse. Qui, mentre dallo schermo (che non vediamo) arrivano le voci dei personaggi di Nostra Signora dei fiori di Jean Genet, colonna sonora di un film immaginario, il «cinema», quello vero, che scortica la pelle, che fa tremare e può provocare anche un po’ di fastidio, si consuma in platea o nei cessi. L’orchestratore di questa umanità disperata, scandalosamente sola, tenuta ai margini, abituata alla provocazione come unico mezzo per affermare la propria esistenza è Danio Manfredini, al quale Lucia Manghi e una piccola, coraggiosa casa editrice della provincia di Udine, Il principe costante (www.principecostante.it), dedica un libro Piuma di piombo. Il teatro di Danio Manfredini (pagg. 155, euro 12,50), che percorre il viaggio a suo modo unico di questo artista dentro il teatro italiano. Nato alla scena nella Milano degli anni Settanta, in tempi di dure contrapposizioni e di impossibilità di dialogo fra realtà diversissime come la scena della tradizione e quel teatro del malessere, politico per definizione, che aveva trovato la sua sede nei centri sociali, Manfredini pensava che il suo mestiere fosse la pittura. A toglierlo da chine e pennelli, è l’incontro con un attore, che, come lui, si sente senza radici, straniero, l’argentino César Brie della Comuna Baires, arrivato da poco in Italia esule dall’Argentina della dittatura. Insieme e accanto a César, conta per Danio il lavoro con Iben Nagel Rasmussen: un teatro psicologicamente emotivo, che esalta il corpo, l’impatto straordinario con l’energia della voce, la bibbia della nuova scena, di quel terzo teatro destinato a diffondersi da una piccola cittadina danese in tutto il mondo grazie alla potenza fascinatrice di un maestro come Eugenio Barba e dei suoi attori.
Il libro, scritto da Lucia Manghi, collaboratrice di Manfredini, è pensato come un diario ragionato del suo modo di fare teatro in quegli anni spesso in assoli provocatorii ma anche in spettacoli di gruppo. E testimonia anche il lavoro nei centri sociali e nelle comunità psichiatriche, i suoi incontri con uomini eccezionali come Tadeusz Kantor, la rivelazione di come si possa vivere, quasi esaltandola, la propria diversità grazie a scrittori come Genet e Pasolini. E racconta la genesi di spettacoli molto amati dal pubblico giovanile, che spesso hanno ricevuto importanti riconoscimenti, dal Miracolo della Rosa al già citato Cinema Cielo: un arco di circa vent’anni iniziato seguendo César Brie e il suo teatro Tupac Amaru, passando per La crociata dei bambini tratto dal poema di Brecht e il teatro dell’impegno accanto ai giovani del Leoncavallo fino alla conquista di un linguaggio e di una tematica più personale che nasce dall’emarginazione cercata e affermata. A fare da ideale introduzione una bellissima intervista di Oliviero Ponte di Pino, che ci conduce dentro il mistero e il cammino, per molti aspetti esemplare, di questo inquieto, straordinario artista, da vedere e da conoscere.



«La Gazzetta di Parma», mercoledì 20 ottobre 2004

Teatro, i riflettori su Danio Manfredini

di Valeria Ottolenghi

Magnifico Danio Manfredini! Tra i maggiori artisti del teatro contemporaneo italiano, appartato e schivo, poche le creazioni, di assoluta commovente bellezza, opere struggenti in passaggi fluidi, dolenti, sapendo toccare ferite scoperte, piaghe dell'anima, sempre con dolce pietà, un'adesione intensa e quieta, con leggerezza e pianto. Riconosciuto come maestro anche nel mondo del teatro, attori e registi che chiedono il suo contributo per la drammaturgia nel teatro danza, l'uso dello spazio, della voce, a partire però sempre dalla ricerca intima dell'urgenza d'espressione artistica, Danio Manfredini - che ha meritato più di un premio Ubu, ogni sua creazione un richiamo forte per chi ama il teatro - è stato diverse volte a Parma, a guidare laboratori e seminari, ma, se ben si ricorda, presentando solamente uno dei suoi spettacoli, «Al presente» , in una scena candida d'ospedale esistenze smarrite, inquietudini, strazio, la vecchiaia, la malattia mentale, la solitudine, danzando insieme la voglia di vivere, ritmi dionisiaci facendo ruotare il corpo, la mente nel vuoto, nel bisogno come di volare dimenticando. A dare il proprio contributo all'assistenza tecnica, alle luci per questo spettacolo, Lucia Manghi, che da tempo, sentendo come suo mondo il teatro, collaborava a livello ideativo e organizzativo al Teatro Europa. Accompagnerà cosí Danio Manfredini, seguendolo nel suo lavoro, nel suo complesso processo creativo, nella riproposta di alcuni capolavori, fortunatamente conservati in repertorio, come «Tre studi per una crocifissione», ispirato al trittico di Francis Bacon, e con testi da Fassbinder e Bernard-Marie Koltès. Un modo concreto per avvicinare la sfuggente poetica di Manfredini, densa e leggera, stilizzata, raffinatissima. Una tesi di laurea accurata, documentata, con citazioni precise, descrizioni ma anche essenziali intuizioni capaci di far cogliere, per quanto possibile, lo splendore della ricerca di Manfredini, capace, come i suoi maestri di riferimento, Genet, Pasolini, Kantor, ma in forma del tutto originale, di fondere squallore e santità, miseria, vergogna e vertiginosa bellezza, luci ed ombre, volgarità e purezza. Il libro che ne è derivato - «Piuma di piombo - Il teatro di Danio Manfredini» ed. Il principe costante - è quindi divenuto strumento di straordinaria importanza, memoria e guida, per conoscere un artista dei nostri anni, ultima opera «Cinema cielo», debuttato al Festival di Santarcangelo lo scorso anno. Il titolo del saggio della Manghi è uno degli ossimori di Romeo, a ricordare, con la levità del passo di Manfredini il suo coraggio nell'affrontare zone segrete del cuore, della vita, consapevolezze fuggite, paure nascoste. E il titolo dell'introduzione di Oliviero Ponte di Pino, altro essenziale strumento guida per accostare la poetica di Manfredini, è Il monaco guerriero del teatro italiano, nuovi termini che paiono contraddirsi, autore solitario e combattivo. A partire da se stesso: «Per lui il lavoro dell'attore è un duro esercizio di autodisciplina e un percorso di conoscenza, una tecnica e un'etica» . Un libro da leggere, conservare e consultare, per l'analisi critica di opere indimenticabili, per la suggestione delle parole raccolte dallo stesso Manfredini, «siamo un soffio in un viaggio di conoscenza, semplicemente di conoscenza ed esperienza».

 

«www.drammaturgia.it»

Lucia Manghi, Piuma di piombo. Il teatro di Danio Manfredini

di Cataldo Russo

Grazie al rigore delle scelte artistiche e ad una intensa attività pedagogica, che si è sviluppata in questi anni attraverso una lunga esperienza seminariale, Danio Manfredini, attore e regista milanese, si è ritagliato uno spazio del tutto particolare nel panorama del nuovo teatro italiano; egli si colloca in quella generazione di artisti, emersa soprattutto negli anni Novanta, che hanno sviluppato la loro ricerca fuori dall'abituale sistema produttivo e che spesso non si sono formati all'interno delle scuole e delle accademie ma che hanno trovato nel teatro la sintesi di esperienze diverse.
Lucia Manghi ricostruisce in questo saggio la vicenda artistica di Manfredini, passando in rassegna i momenti più importanti della sua formazione: la pittura, il teatro fondato sul training e l'apprendimento dei mezzi espressivi attoriali, mutuati dalla conoscenza diretta o indiretta di artisti come César Brie, Iben Nagel Rasmussen dell'Odin Teatret e Tadeus Kantor.
Nella seconda parte del saggio l'autrice analizza gli spettacoli di Manfredini, tutti nati in ottica antieconomica, spesso prodotti all'interno di alcuni importanti centri sociali molto attivi negli anni Ottanta e Novanta (come il Leoncavallo di Milano). Miracolo della rosa, Tre studi per una crocefissione, Al presente, Hic desinit cantus e l'ultimo Cinema Cielo (presentato al festival di Santarcangelo di Romagna nell'estate 2003) sono la testimonianza di un processo creativo che si sostiene su periodi di prove molto lunghi e che sperimenta una poetica dell'attore come artefice principale della scena.

 

«L'opinione della domenica on-line»
 
“Si comincia così, si entra nella sala di lavoro e… niente, non succede niente.
Allora l’unica cosa da fare è sedersi lì, di fronte al niente e basta: aspettare, senza giudicare”

Danio Manfredini, il soffio del teatro sacro

di Barbara Massaro
 
Così Danio Manfredini racconta la prima scintilla dei suoi spettacoli nel bel libro di Lucia Manghi, “Piuma di piombo”, edito da Il Principe Costante, ed è questo l’atteggiamento necessario per avvicinarsi al mondo artistico dell’attore lombardo.
I suoi non sono lavori semplici.
È potente e complessa la suggestione poetica che si sprigiona laddove il linguaggio del teatro, quello della poesia e della pittura si fondono.
Il cosiddetto Nuovo Teatro italiano che va delineandosi da almeno un decennio segue correnti diverse e percorsi che portano ad esiti scenici antitetici, basti pensare a gruppi kitsch e rumorosi quali Fanny e Alexander che esistono accanto a formazioni sottili e poetiche come quella del Teatro Valdoca guidato da Cesare Ronconi.
Detto ciò, però, va sottolineato che tutti coloro che oggi calcano le scene non possono non fare i conti con il teatro di Manfredini.
Allestimenti come Il miracolo della rosa, Tre studi per una crocifissione e Al presente sono pietre miliari sostegno del vacillante repertorio italiano che, in relazione ai più febbrili panorami europei, non gode, negli ultimi anni di un momento di grande esuberanza.
Lucia Manghi, autrice dello studio, ha cominciato a seguire il lavoro di Manfredini in occasione della sua tesi di laurea presso il Dams di Bologna e, da allora, è rimasta accanto all’artista.
Scrive, quindi, un libro frutto di anni di attenta osservazione di metodi, tecniche e spettacoli e chiunque abbia conosciuto da vicino il teatro di Manfredini non può che riconoscerne l’impronta e apprezzare la rispettosa analisi operata dall’autrice.
Il suo è un teatro fatto da un uomo solo che, da solo, non ha paura di immergersi nei più profondi abissi della psiche umana per metterne in scena i paradossi.
Ha lavorato anni a contatto con malati psichiatrici e ha messo a frutto quell’esperienza in scena, ricalcando la forma della follia umana per trovarne la sostanza comune.
Un artista emarginato in quanto omosessuale, in quanto uomo che ha vissuto per anni in case occupate abusivamente dagli anarchici sempre nella paura dello sgombero improvviso e che, però, ha trasformato una condizione esistenziale in precisa scelta poetica.
C’è mezzo Novecento nei suoi lavori.
In lui ritroviamo “l’attore santo” di grotowskiana memoria, l’attenzione al testo e alla voce riscoperta più di recente, e poi il fantoccio di Kantor e la commistione tra linguaggi artistici di sapore post-avanguardistico.
Il breve scritto della Manghi funziona proprio perché lascia parlare l’esperienza di Danio Manfredini, ci racconta della sua formazione e dei suoi successi, delle paure e delle incertezze di un regista che ha saputo restituire la poesia al teatro del corpo e ha ridato dignità al disagio dell’uomo.


«www.daemonmagazine.it»

Piuma di piombo - il teatro di Danio Manfredini

di Azzurra D'Agostino

Il Principe Costante è un'opera di Calderon; la costanza a cui allude il titolo è quella inerente all'eroismo del protagonista, che anche a costo della vita rimane saldo nel portare avanti ciò in cui crede, per il bene delle sue genti. Mi sembra dunque azzeccata la scelta di questa piccola casa editrice nel rifarsi a tale personaggio, dandosi un nome che più che un sigillo sembra un augurio: sfogliando il catalogo proposto, scopro infatti una serie di libri sul teatro e sul cinema, dai temi e dagli autori di qualità, che si interrogano ed esprimono su questioni volte a dare ulteriore pulsione alla comprensione di queste due arti, stimolando la riflessione critica e le spinte di innovazione. Una scelta che ha il sapore di militanza, cosa di cui chi scrive ritiene vi sia un gran bisogno.
Tra questi volumi ho avuto il piacere di trovare appunto Piuma di piombo, testo che indaga ed espone parte del lavoro di ricerca di uno dei più significativi attori teatrali della nostra scena: Danio Manfredini. Il testo risulta interessante non solo per essere testimonianza rara, ma anche per il fatto di essere stato scritto da Lucia Manghi, collaboratrice di Manfredini e sicuramente in sintonia con il suo lavoro e la sua poetica. Poetica che non può essere sicuramente esposta in questo breve spazio, ma che credo davvero meriti di essere conosciuta, e non solo dagli attori o dagli amanti del teatro. Una poetica e uno stile di lavoro sono visioni del mondo, sono tentativi di agire il mondo, di non esserne sopraffatti, di porgere un'alternativa… e il grado di consapevolezza che Manfredini offre, il rispetto del lavoro, il modo di prendere sul serio la necessità di studio, di concentrazione, di rispetto dello spazio da dedicare all'arte (visione simile a quella proposta da Grotowski con la proposizione della necessità di un lavoro dell'attore quasi "ascetico"), sono sicuramente elementi basilari per una crescita e una comprensione che vanno al di là del tipo di arte, e si assestano sul piano dell'umano in senso ampio. Il mettersi a nudo, l'offrirsi, lo scoprire delle verità, il compatire, l'andare verso gli elementi di "disturbo" a tutto ciò che dà una parvenza di equilibrio alla società, comprendere la distanza e la differenza senza soffocarle né cambiarle, smascherare, velare e disvelare… tutto ciò, sppure avviene sottoforma di teatro, non è solamente teatro, e merita di essere scoperto. "Si tratta di misurarsi con qualcosa che è al di là del teatro, perché alla fin fine il teatro non conta se non nella misura in cui si rende portavoce di questo mistero. Che cosa sono in fondo i pochi anni della nostra vita? Sono un soffio e siamo qua per fare teatro?" (Ivi, p.124). Un buon libro, ben scritto, su un bravo artista. Tre caratteristiche non così ovvie, da trovarsi in un unico volume.


 

 
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